Per quale motivo alcuni di noi intraprendono percorsi difficili e faticosi, per raggiungere un obiettivo che è, prima di tutto, un traguardo personale?

l’amico triatleta Andrea Vigiani ci racconta la sua motivazione nell’affrontare la sfide del suo primo Ironman 70.3 a Budapest.


Il mio primo 70.3 – il perché di una sfida

Dopo tanti anni passati a pedalare, correre, nuotare, andare in palestra più o meno saltuariamente, qualche anno fa mi sono sforzato di rendere la mia attività fisica più continuativa.

Al di là degli immediati benefici fisici, è ritornata in me la vecchia passione giovanile per l’attività agonistica, che mi ha spinto a tesserarmi dapprima per una società di podismo e, l’anno scorso, a iniziare il triathlon, sport che mi ha da sempre affascinato.

Caratterialmente, per stimolarmi, sento la necessità di stabilire degli obiettivi da raggiungere e, dopo aver completato il primo obiettivo che mi ero prefissato (la maratona sotto le quattro ore, due volte), ho pianificato di finire un Ironman 70.3.

Il mio obiettivo era finirlo sotto le sei ore: un obbiettivo cronometrico effettivamente po’ ambizioso, ma al momento di stabilirlo non avevo coscienza delle difficoltà insite nel triathlon: un ritmo banale per una mezza maratona diviene infernale quando si sono già fatti 90 km in bicicletta!

Per facilitarmi la vita ho individuato l’evento Ironman 70.3 di Budapest, cui mi sono iscritto – con una certa incoscienza – ben 9 mesi prima.

La data della gara infatti (22 Agosto 2015) ben si accordava con le vacanze estive, e il percorso riportato sul sito internet sembrava abbastanza scorrevole.

Un brutto anatroccolo in zona cambio

Fortunatamente, all’arrivo nella capitale ungherese, il clima torrido dei mesi precedenti era alle spalle, visto che io e la mia famiglia, composta da moglie e tre figlie, siamo giunti in una giornata di intensa pioggia e temperatura di 19°.

Il giorno dopo, ultimate le pratiche di registrazione per la gara, abbiamo compiuto una lunga e stancante passeggiata per un centro strapieno di gente e bancarelle (era il giorno di festa nazionale ungherese), ammirandone i monumenti posti lungo il placido Danubio.

La vigilia della gara, lasciate moglie e figlie ai loro giri turistici, sono andato di mattina a vedere la gara del 5150 (per noi la distanza olimpica) cui partecipavano veramente i personaggi più disparati, dal professionista al vero ”dilettante alla riscossa”.

Tuttavia avevo l’impressione che per l’Ironman 70.3 del giorno dopo la musica sarebbe stata diversa.

Il pomeriggio, infatti, diviene progressivamente un tormento: in albergo vedo spuntare da ogni dove costosissime biciclette da cronometro costruite con materiali degni di una navicella spaziale!

Quasi tutti i partecipanti indossano, come accade presso i popoli primitivi, i loro simboli di gloria: le maglie di finisher di precedenti Ironman.

Io avrei con me quella della Maratona di Barcellona, ma mi sembra fuori contesto e pertanto cerco di mimetizzarmi assumendo l’aspetto di un turista qualsiasi.

In zona cambio l’impressione non cambia: biciclette di livello superiore ovunque e una ulteriore constatazione: praticamente sono uno dei pochissimi a non avere installate le aerobars!

Mi sento come un povero pulcino spelacchiato, e comincio a dubitare seriamente di riuscire a ultimare la gara nel tempo che mi sono ripromesso.

Insomma, torno in albergo stanco e demoralizzato, ulteriormente abbattuto dalle previsioni meteo che riportano pioggia per l’indomani.

Anche se mia moglie prova a tranquillizzarmi, ricordandomi tutti gli allenamenti sostenuti nei precedenti cinque mesi, dormo poco e male.

Alle cinque del mattino decido di alzarmi per andare a fare colazione, sentendo gambe rigide e un generale intorpidimento dovuto alla carenza di sonno.

Alle sei e mezza, sotto un cielo plumbeo, dirigo verso la zona di partenza: si inizierà a partire dalle 9:00, in batterie distinte per categoria di età, con partenza ogni 15 minuti. La mia sarà l’ultima batteria, seguita a soli 5 minuti dalle staffette, per cui partirò ben 1 ora e mezza dopo i primi (che saranno i professionisti).

Inizia il gran ballo

Mi aggiro come un automa nei pressi della zona di partenza, consumando le mie razioni di attesa (una barretta ogni ora). Finalmente arriva mia moglie che almeno riesce a tranquillizzarmi.

andrea-vigiani-06A 40 minuti dalla partenza indosso la muta: da ora sono virtualmente in gara, e devo dire che l’adrenalina ha l’effetto di svegliarmi!

Dopo qualche bracciata a nuoto nell’area di riscaldamento (si nuota nelle acque del Danubio, in una baia riparata dalla corrente del fiume) mi posiziono per prendere una delle prime file alla partenza della mia batteria: visto che almeno nel nuoto sono decentemente competitivo, è bene non farsi bloccare dal gruppo.

Il responsabile della partenza annuncia “Ten minutes to go”, sento le pulsazioni salire e la tensione aumentare e, per distrarmi, scambio un paio chiacchiere con due cagliaritani che si sono posizionati subito dietro di me.

Five minutes to go”, mia moglie si avvicina alle transenne e mi dice: “Ho parlato con una donna russa. Mi ha detto che suo marito ne ha già fatti quattro e solo ora riesce a scendere sotto le sei ore. Il primo l’aveva fatto in sei ore e mezza ed era contentissimo!”. Boh… consolante!

One minute to go”, mi sistemo gli occhialetti e ne controllo la tensione dell’elastico. Colpo di pistola e via! Solita baraonda iniziale di colpi dati e ricevuti fino alla prima boa, posta ai 200 metri.

Poi, come mi aspettavo, dopo averla doppiata si creano gli spazi per poter finalmente aggiustare la nuotata: inizio ad allungarmi cercando il giusto ritmo di bracciata e respirazione.

Ho finalmente il tempo di pensare: il ballo tanto atteso è cominciato, e ormai ci siamo dentro. Nel nuoto è difficile valutare come si stia andando, ma mi stupisco di non vedere ancora gli staffettisti superarmi (ok, in effetti una specie di motoscafo umano mi ha passato a velocità doppia!) e, all’approssimarsi dell’ultima boa, a 200 metri dall’arco di uscita, noto degli oggetti rossi galleggiare a pelo d’acqua.

andrea-vigiani-05Stupito, alzo la testa: ma sono delle cuffie rosse! Ho raggiunto la coda della batteria precedente partita 15 minuti prima (ogni batteria è contraddistinta da un colore diverso di cuffia e pettorale, la mia per esempio è arancione): vanno loro troppo lenti o sono io particolarmente veloce? Forse è una combinazione delle due.

Prendo finalmente terra per avere l’unico responso valido, quello del cronometro. Mia moglie mi urla: “trentuno minuti, sei uscito ventiduesimo di categoria”. A parte la lusinghiera posizione (su circa 140 miei coetanei), mi stupisce il tempo: questo è un crono che sui 1..900 m faccio in piscina, non di certo in acque libere, ma non avevo considerato l’effetto adrenalina e, diciamolo, soprattutto l’effetto muta (i 5 secondi guadagnati ogni 100 metri sono decisamente una realtà).

Corro verso la zona cambio e afferro la “swim bag” per indossare maglia e calzini da ciclismo.

In questa gara non funziona come quelle cui sono abituato, in cui posi i tuoi effetti vicino alla bicicletta. Qui vige il sistema delle sacche: il giorno prima devi posizionare nel tuo posto assegnato su due rastrelliere altrettante sacche, fornite dall’organizzazione, in cui hai infilato ciò che ti servirà rispettivamente per il ciclismo e per la corsa, e che preleverai sostituendoli con quanto hai impiegato nella frazione precedente.

andrea-vigiani-02Comunque, al momento di iniziare a pedalare, il cronometro mi informa che sono in vantaggio di 8 minuti sulla tabella di marcia (mia croce nei tanti mesi di allenamento): meglio non potevo sperare.

Inizio a pedalare, come ormai mi sono abituato, con rapporti sempre agili e frequenza elevata, non dimenticando di rispettare il programma di alimentazione (mezza barretta ogni 30 minuti, un sorso alternando acqua e sali minerali ogni 15 minuti).

Per fortuna non piove, ma in diversi punti lungo il Danubio un vento decisamente fastidioso mi costringe ad incrementare sforzo e fatica.

Il percorso però è molto veloce, a meno dello strappo di 1 chilometro e mezzo che conduce al Castello di Buda.

Come immaginavo, dei missili in bicicletta da cronometro mi sverniciano periodicamente, tuttavia, a differenza del solito, noto che sono più quelli che sorpasso io rispetto a coloro che mi sopravanzano. Supero diversi concorrenti col pettorale rosso e giallo e comincio a raggiungerne anche qualcuno col verde.

In questa frazione mi rendo finalmente conto che gran parte dei partecipanti non sono dei fenomeni: alcuni sono decisamente in sovrappeso, altri pedalano pianissimo, supero persino un paio di Mountain Bike (90 km con quelle ruote, ho i brividi solo a pensarci…). E’ veramente una manifestazione per tutti!

Altra cosa che mi colpisce è il “silenzio ambientale”. Essendo una gara con scia proibita (e assicuro che ci sono molti giudici, in moto, che controllano l’applicazione della regola) ognuno procede in silenzio, concentrato solo sul suo ritmo di pedalata.

Alla fine del primo giro, decido di amministrare meglio le forze. Ora le biciclette sul percorso sono molte di meno perché i concorrenti delle prime batterie stanno entrando in Zona Cambio.

Arrivato a termine frazione, noto che nel secondo giro il ritmo è decisamente calato, per una media finale di 31 km/h. Speravo meglio, ma tutto sommato non mi posso lamentare.

In compenso trovo moglie e figlie che mi urlano il loro incitamento, vera benzina per la frazione più temuta!

E la crisi non arrivò

Temo la crisi che, generalmente, nella distanza Olimpica mi colpisce nell’ultima frazione (credo complici i “fuori giri” che compio nel ciclismo per tenere le scie, qui come detto vietatissime).

Ho però a disposizione un bottino di 19 minuti di vantaggio sulla tabella di marcia da amministrare, e i muscoli sembrerebbero a posto. L’unico problema sono dei doloretti ai tendini d’Achille (mannaggia alle passeggiate turistiche!).

Il ritmo, grazie anche all’aiuto della temperatura fresca, si attesta su un accettabile 5’30”/5’45” al km. Mi fermo ad ognuna delle due stazioni di rifornimento poste sul circuito (da ripetere 4 volte), alternando acqua e sali minerali.

I chilometri continuano a passare e la crisi non arriva. Per farmi forza, osservo sadicamente quelli che ormai passeggiano e quelli che hanno al braccio meno braccialetti di me (ne danno uno di un colore diverso ad ogni passaggio al giro di boa estremo del circuito).

Quando finalmente tocca a me indossare l’ultimo dei quattro braccialetti sento un indurimento al gluteo destro: ti prego, non ora che ho quasi finito!

Mi concentro sulla strada davanti a me per non avvertire il fastidio e, finalmente, ad un chilometro e mezzo dall’arrivo prendo pienamente coscienza che ormai è fatta: quasi mi commuovo!

andrea-vigiani-03Gli spettatori lungo le transenne, vedendomi con quattro braccialetti, cominciano ad allungare le mani per darmi il cinque. Ecco il tappeto rosso, le ragazze pon-pon e finalmente l’arco del traguardo, che taglio braccia al cielo, con un crono di poco inferiore alle 5 ore e 34 minuti.

Medaglia al collo, stretta di mano e un “congratulations Andrea” da parte del direttore di corsa (che organizzazione spettacolare, il responsabile si congratula personalmente con tutti i finisher!), ma… dov’è la mia famiglia?

Dopo qualche minuto li vedo che escono di corsa dall’adiacente ottimo spazio allestito da Decathlon per far provare vari sport ai bambini.

Mia moglie mi dice: “Ma come, mi avevi detto che ci avresti messo 6 ore!”. Sorrido e abbraccio le mie quattro donne, dicendo a mia moglie: ”Ora puoi andare a dire alla russa che suo marito è una pippa!”.

Che cosa mi ha insegnato questa esperienza

L’esperienza di una gara del circuito Ironman è stata per me qualcosa di veramente speciale.

Sento molti triatleti lamentarsi dei costi di iscrizione piuttosto alti e dire che a prezzi più bassi ci sono molte gare simili in Italia.

E’ vero, il costo d’iscrizione non è indifferente, e non vi aspettate chissà quale pacco gara: uno zainetto, una bibita e, se lo completate, medaglia e maglietta da finisher.

Tuttavia, ritengo che in questo caso si paghi una organizzazione veramente spettacolare. Tenete presente che per noi hanno chiuso il centro di una grande capitale europea, facendoci transitare in bicicletta davanti ai posti più suggestivi, su un percorso quasi sempre transennato e sorvegliato da centinaia di addetti!

E poi, volete mettere? Gareggiate insieme a persone provenienti da ogni parte del mondo!

Come accennato poi, a differenza di quanto accade in Italia, all’estero il triathlon viene visto come uno sport alla portata di tutti, e pertanto incontrerete sul percorso i personaggi più disparati, soprattutto se disputate un 5150 (qui ho visto gente che nuotava a rana dal primo all’ultimo metro, uno si è messo persino a nuotare a gambe rana stando sul dorso, diverse mountain bike, addirittura uno con bici da passeggio con tanto di portapacchi!).

andrea-vigiani-04A contorno delle due gare di triathlon, l’organizzazione propone poi altre manifestazioni quali l’Ironkids (gara di corsa per bambini di diverse fasce di età, tutte e tre le mie figlie vi hanno partecipato), l’Irongirl (gara podistica di 10 km per sole donne), il Befitrun (gara di corsa di 5 km a cui si può partecipare solo se si ha un indice di massa corporea superiore a 25…).

Lo ripeterò? Possibile, ma è certo che ci vorrebbe una bicicletta più performante per questo tipo di gara, e qui i costi sono veramente alti.

Ad ogni modo, assicuro che completare un 70.3 non è assolutamente una cosa fuori dal mondo, purché ci si alleni per qualche mese con una certa continuità. Ad esempio, io ho trovato decisamente più impegnativa (per gestione energetica, sforzo muscolare e tendineo) la maratona. Per cui, se avete già sperimentato la distanza di Filippide, buttatevi pure senza timore!

 

 
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